Sua madre Antonia, quando voleva offendere qualcuno, gli diceva che era “più scemo di suo figlio”, che considerava alla stregua di un “mostro d’uomo, non finito, ma soltanto abbozzato dalla natura”.
Non meno tenera, nonna Livia nutriva per il nipote il massimo disprezzo e gli si rivolgeva soltanto per rimproverarlo. Quanto al prozio, il grande imperatore Augusto, si limitava a scrivere di lui, in un misto di latino e greco: “ Misellus ατυχεί! Nam εν τοις σπουδαίοις, ubi non aberravit, satis apparet η της ψυχής αυτού ευγένεια” cioè: “Il poveretto è sfortunato! Infatti nelle cose serie, quando non sragiona, viene fuori abbastanza il suo nobile ingegno”.
Questa era dunque l’opinione che i parenti avevano di Tiberio Claudio, nato il 10 agosto del 10 a.C. e diventato subito, suo malgrado, il “Calimero” della potentissima Gens Claudia, casata imparentata per vincoli matrimoniali con la famiglia Giulia, cui apparteneva lo stesso Augusto. Fratello minore del grande Germanico, il valoroso generale che aveva riportato numerose vittorie in guerre combattute contro i popoli barbarici dell’Europa orientale riuscendo poi anche a riscattare l’onore di Roma nei confronti dei Germani dopo la terribile disfatta patita a Teutoburgo dalle legioni comandate da Publio Quintilio Varo, Claudio ne sembrava in realtà la brutta copia, a partire dall’aspetto fisico.
Se il primo infatti era bello, atletico e slanciato, Claudio non solo si distingueva per il suo corpaccione obeso che si reggeva a stento su due gambette rachitiche, ma era anche afflitto da balbuzie e numerosi tic nervosi che gli facevano per esempio tentennare di continuo il capo. La fama di mentecatto di cui si era accreditato però gli consentì di arrivare sino all’età di 50 anni, attraversando indenne le tragedie della famiglia Claudia in tempi in cui, specie se si era parenti, bastava un sospetto o una parola fuori luogo per finire sventrati, avvelenati o magari spediti a morire d’inedia su un’isoletta desertica.
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Dopo tutto, che fastidio poteva dare uno così, che non faceva ombra a nessuno e si accontentava di scrivere storielle o recitare le poche particine di rappresentanza che i parenti più potenti e fortunati di lui gli riservavano nelle cerimonie ufficiali? Eppure il 24 gennaio del 41 d.C. furono proprio quelle che per mezzo secolo erano state le sue debolezze a fruttargli la conquista della corona d’alloro imperiale.
Quando infatti i pretoriani, stufi delle sue follie, avevano appena ammazzato l’imperatore Caligola, pensarono bene che il personaggio più adatto a succedergli fosse proprio suo zio Claudio che, stordito com’era, sarebbe risultato un semplice burattino nelle loro mani.
Prima di trovarlo però ci misero del tempo perché il poveretto, terrorizzato dal trambusto di quell’omicidio, si era nascosto fra le pieghe della tenda di una stanzetta del palazzo imperiale, venendo scovato per caso da un soldato di passaggio che vide i suoi piedi fuoriuscire da quello strano nascondiglio. Non appena scoperto, temendo di venire ucciso, Claudio gli si gettò ai piedi implorando pietà, intanto però che l’altro, in una scena tragicomica, lo acclamava imperatore
Il giorno seguente il novello principe davanti al Senato schierato consentì ai rappresentanti dell’esercito di giurargli fedeltà, con ciò dando inizio ad un regno che, per certi versi, avrebbe fatto ricredere in tanti sulle sue capacità.
Il succo del discorso iniziale di Claudio fu più o meno il seguente: “Lo so che mi avete sempre considerato uno scemo, ma non lo sono. Ho soltanto fatto finta di esserlo ed è per questo che ora sono qui!”.
Come prima cosa decretò l’oblio perpetuo sui fatti accaduti in quei due giorni, abolendo tutti i provvedimenti presi da Caligola, ma insistendo sul fatto che i responsabili diretti del suo assassinio venissero messi a morte, giusto per sancire il principio in base al quale un imperatore non si uccide impunemente.
Nei quattordici anni in cui sarebbe rimasto al potere realizzò importanti opere pubbliche, quali la costruzione dell’acquedotto dell’ “Acqua Claudia”, il porto di Ostia ed il prosciugamento del Lago del Fucino, grazie alla costruzione di un canale emissario realizzato dall’opera di 30.000 sterratori, non senza avervi fatto prima combattere un’ultima battaglia navale fra due flotte cariche di condannati a morte che, dopo averlo salutato al grido di “Ave Imperator, morituri te salutant”, si colorano a picco gli uni contro gli altri davanti ad un numerosissimo pubblico in delirio.
Per dimostrare che anche lui non era da meno dei suoi più illustri famigliari, nel 43 volle partire alla conquista della Britannia, sebbene non avesse mai fatto il soldato. Dopo sei mesi, e quando ormai lo si dava per morto, eccolo invece tornare a casa in trionfo. Non fu un cattivo amministratore, anche perché sapeva circondarsi di validi collaboratori, e pose sempre grande cura nel garantire la sicurezza e l’approvvigionamento di Roma, spendendo anche di tasca propria in anni di carestia per non far mai mancare i viveri alla popolazione.
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Il suo punto debole furono però le donne: a 50 anni suonati e dopo aver già avuto due mogli poi ripudiate, si risposò per la terza volta con un’avvenente sedicenne che di nome faceva Messalina ed era famosa per la sua lussuria. Se Claudio poteva anche accettare che quest’ultima lo riempisse di corna, anche perché lui la ripagava con egual moneta, il tutto però doveva avvenire nella massima discrezione, per evitare i mormorii. Quando però lei, approfittando di una momentanea assenza del marito, addirittura sposò Sileo, il suo amante di turno, lo scandalo fu troppo grande e Claudio ordinò l’uccisione di entrambi, chiedendo ai suoi pretoriani di fare lo stesso con lui qualora un giorno si fosse risposato.
Nemmeno un anno dopo eccolo cedere nuovamente alle grazie della nipote Agrippina che, approfittando della debolezza di quell’uomo ormai infiacchito dagli anni e dagli strapazzi, divenne l’imperatrice “de facto” tanto da riuscire ad imporre al marito le proprie volontà e financo i capricci.
Ottenuto quel che massimamente voleva però, cioè l’adozione con la conseguente nomina ad erede designato del proprio figlio Nerone, nato da un suo primo matrimonio, a discapito del giovane Britannico, legittimo figlio di Claudio, prima che quest’ultimo ci ripensasse Agrippina si affrettò a servirgli una pietanza a base di funghi velenosi, che lo mandò all’altro mondo fra terribili spasmi il 13 ottobre del 54.