“Poignar coeur, d’un monté au coursier et pique / sans faire bruit, le Grand enterreront”, cioè: “Il pugnale con un cuore (inciso) di un tale salito sulla ruota della carrozza / senza far rumore, il Gran Re seppellirà”. Il famoso astrologo Michel de Nostredame (”Nostradamus”) l’aveva previsto fin dal 1564 anche se, nella sua ermeticità, risulta molto più facile interpretarne i versi a posteriori, che capirne il significato in tempo utile.
Il sogno premonitore di Enrico IV
Sebbene fosse conscio del rischio di un attentato alla propria persona, avendone già subiti altri negli oltre vent’anni in cui era stato al potere fino ad allora, per re Enrico IV, il primo Borbone a sedere sul trono di Francia, la notte precedente a quel fatidico 14 maggio del 1610 risultò assai difficile, perché tormentata da incubi. Sognò infatti di trovarsi bloccato in una strada di Parigi, chiuso all’interno della sua carrozza, intanto che le mura di una casa gli crollavano addosso, seppellendolo.
Né più tranquilla fu la notte di sua moglie Maria de’ Medici, che soltanto un giorno prima era stata solennemente incoronata regina di Francia nella Cattedrale di Saint Denis, per poter essere subito dopo designata reggente del Paese per tutto il periodo in cui il marito si sarebbe assentato, dovendo partire al comando delle proprie truppe alla volta dei Paesi Bassi, ai quali aveva appena dichiarato guerra.
Quell’incoronazione l’aveva fortemente voluta lui, Enrico, per mettere la moglie al riparo dalle possibili recriminazioni dei Principi del sangue, nel caso in cui qualcosa per lui fosse andato storto durante la campagna militare prossima ventura. La sfarzosa cerimonia, svoltasi all’insegna di una narrazione rituale e visiva improntata a motivi biblici e classici, fu concepita come l’esaltazione della “Monarchia della ragione” istaurata da Enrico, che col suo assolutismo bonario e pacificatore aveva riportato, alla stregua di un buon “Pater familias”, stabilità, tranquillità, civile convivenza e prosperità in un Paese reduce da oltre trent’anni di sanguinose guerre di religione.
Francois Ravaillac: l’assassino di Enrico IV
Rientrato a Parigi stanco, ma felice, il sovrano non poteva certo immaginare che già l’indomani la sua strada si sarebbe incrociata con quella di François Ravaillac, uno sbandato che ai giorni nostri verrebbe definito “un marginale”.

Poco più che trentenne, originario di Angoulême, quest’ultimo era ossessionato dalla religione, che lo faceva dubitare dell’ortodossia cattolica del suo re. Rifiutato da vari ordini religiosi a causa delle sue posizioni estremiste, aveva maturato negli anni una sorta di ossessione mistica, non priva di elementi millenaristici.
Trasferitosi a Parigi poche settimana prima, aveva tentato invano di parlare col re, non si sa se per metterlo in guardia o ucciderlo. Saputo infine che nel pomeriggio del 14 maggio Enrico si sarebbe recato all’arsenale per una visita di routine, pazientemente ne attese il passaggio lungo il percorso stabilito.
Tormentato dai brutti pensieri, indeciso sul da farsi ed invano trattenuto dalla moglie, finalmente verso le quattro pomeridiane il re uscì dal palazzo del Louvre, sua residenza, per salire sulla pesante carrozza scoperta che lo aspettava, in compagnia di alcuni ministri e dignitari di corte.
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L’attentato mortale a Enrico IV
Giunto in rue de la Férronerie, il convoglio si dovette però fermare a causa dell’ingorgo provocato da due carri merci che si ostacolavano a vicenda. Abituato a simili intoppi, Enrico non si preoccupò, ma avendo dimenticato gli occhiali chiese al duca d’Épernon, che gli sedeva a fianco, di leggergli una lettera.
Quello fu il preciso in cui Ravaillac saltò sul predellino della carrozza e lo ferì con un primo colpo di pugnale, non mortale, seguito però da un secondo che gli trapassò il cuore ed infine un terzo che lo raggiunse ad un braccio.

Terminava così la vita di Enrico IV di Borbone, il re che col suo operato aveva consentito a tutti i suoi sudditi, come si usava dire allora, di gustare almeno una volta alla settimana una buona “poule au pot” (“gallina in brodo”).
Come ebbe a riferire a breve distanza dai fatti l’ambasciatore veneto al proprio governo: “Quell’assassinio aveva troncato come una falce tutte le speranze e, quasi fulmine, ridotto in niente così gran mole di negozi e d’armi”.