
Davanti a circa 4000 soldati e 20000 civili riuniti del cortile d’onore della Scuola Militare di Parigi, alle 9 di mattina del 5 gennaio 1895 andò in scena l’umiliante degradazione pubblica del capitano Alfred Dreyfus.
Nonostante proclamasse a gran voce la sua innocenza gli furono strappati i gradi e gli venne spezzata la spada d’ordinanza per poi essere imbarcato per un viaggio di sola andata avente come destinazione la famigerata “Ile du Diable”, nella Guyana, sede della più terribile colonia penale della Francia di quei tempi.
Si concludeva così il primo atto del famoso “Affaire Dreyfus”, il principale scandalo della Terza Repubblica che scosse il Paese per più di dieci anni, dividendolo fra innocentisti e colpevolisti, e incidendo profondamente nella vita politica, civile, religiosa e sociale di quei tempi.
Tutto era iniziato il 26 settembre del 1894, quando un’addetta alle pulizie dell’Ambasciata dell’Impero Tedesco a Parigi aveva trovato in un cestino della carta straccia un foglietto contenente informazioni riservatissime, poi consegnato al controspionaggio francese.
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Qui si pensò che soltanto un alto ufficiale dello Stato Maggiore potesse avere contezza di quei particolari e fra di essi nessuno destava maggiori sospetti di Alfred Dreyfus.
Quest’ultimo infatti non solo aveva origini alsaziane, quando sin dal 1871, al termine cioè della guerra franco-prussiana, questa regione era passata all’Impero Germanico, ma apparteneva ad una famiglia ebraica rappresentando così, agli occhi dell’opinione pubblica prevalentemente antisemita di quei tempi, il “Giuda” perfetto.
Inoltre era ricco, era stato capace d’arrivare dove pochissimi altri ebrei erano riusciti sino ad allora e suscitava invidia e gelosie.
Tanto bastò affinché la sua calligrafia fosse identificata con quella dell’autore del famigerato biglietto informativo, il che gli costò la condanna al carcere a vita in quel luogo sperduto e dimenticato da Dio, al termine di un processo sommario basato su prove false e pregiudizi, oltre che viziato dal mancato rispetto del diritto alla difesa. La Francia, ossessionata dal “complotto ebraico”, esigeva in tempi rapidi una vittima sacrificale!
Soltanto nel 1896 si scoprì il vero autore di quell’atto di spionaggio, ma l’Esercito, pur di non contraddirsi, non volle riaprire il caso, finché il famoso “J’accuse”, scritto da Emile Zola in forma di lettera aperta al Presidente della Repubblica e pubblicato il 13 gennaio del 1898 sul giornale “L’Aurore”, scosse talmente l’opinione pubblica da portare alla revisione del processo.
Così, nel settembre del 1899, con una sentenza forse più scandalosa della prima perché dettata dall’ipocrisia, Dreyfus fu riconosciuto nuovamente colpevole, ma con la concessione delle attenuanti che permisero al Presidente della Repubblica di graziare quello che a tutti gli effetti rimaneva comunque un traditore della patria.
Si dovette attendere sino al 1906, quando si tenne il terzo processo in Cassazione, per vedere finalmente riconosciuta la totale innocenza di Dreyfus, che di conseguenza fu reintegrato nell’Esercito e insignito finanche della Legion d’Onore.
Certo quel risarcimento tardivo non l’avrebbe mai compensato di tutte le umiliazioni e sofferenze patite durante un lungo calvario causato da discriminazione e pregiudizio.