Una “damnatio memoriae”: questo il destino riservato a re Luigi XV di Francia, spirato a Versailles il 10 maggio del 1774, il quale, pur avendo regnato per quasi sessant’anni, è stato quasi rimosso dai manuali di storia. Certo, la sua figura risulta penalizzata dall’essere incastonata fra altri due Luigi, il XIV (suo bisnonno) ed il XVI (suo nipote), che furono dei veri “colossi” sotto il profilo storico, seppure per motivi diversi, ma questa circostanza da sola non spiega perché colui che in gioventù fu soprannominato il ” Bien-Aimé”, in età matura divenne poi per tutti il “Mal-Aimé”, tanto da meritarsi un simile oblio.
Salì sul trono di Francia nel 1715 all’età di soli cinque anni, dopo essere diventato il “Delfino” in seguito ad una lunga serie di lutti che fra il 1711 ed il 1712 avevano decimato la sua regale famiglia portandogli via in rapida successione il nonno, il padre, la madre ed il fratello maggiore. Commovente fu l’ultimo incontro fra il bisnonno, un “Re Sole” ormai disteso sul letto di morte, e quel fragile bimbo, cui l’anziano sovrano sofferente con un soffio di voce sussurrò: “Bisogna che evitiate il più possibile di fare la guerra. Non seguite il mio cattivo esempio su questo punto: ho spesso intrapreso la guerra per vanità!”.
Queste parole Luigi non se le scordò mai perché durante il suo regno evitò, per quanto poté, di entrare in guerra e le sole due volte che lo fece, la prima contro l’Austria nel 1740 nella Guerra di Successione austriaca e la seconda contro la Gran Bretagna nel 1756, nella cosiddetta Guerra dei Sette anni, fu o in conseguenza delle pressioni della piazza o perché attaccato.
Luigi XV di Francia: la gioventù e l’incoronazione
In gioventù fu trattato come una sorta di “panda”, per il terrore di perderlo in anni in cui al Creatore si tornava facilmente prima del tempo, anche se si apparteneva alla classe regnante. Di conseguenza, a parte un’ottima educazione di base nella materie umanistiche, fu sempre risparmiato sotto il profilo della fatica fisica e forse è anche per questo che in età adulta risultò refrattario al lavoro.
Dopo l’iniziale reggenza affidata allo zio Filippo d’Orleans, Luigi fu incoronato a Reims all’età di dodici anni, nel 1722. Precoce in tutto, si sposò quindicenne con la principessa polacca Maria Leszczynska ed alla morte di zio Filippo, memore di quanto avevano fatto i suoi avi, anche lui affidò il governo del Paese ad un Cardinale, l’anziano De Fleury, la saggezza del quale gli consentì fino al 1743, anno della di lui scomparsa, di concentrarsi solo sui suoi principali “amusements”, cioè la caccia boschiva ma anche quella alle gonne delle tante “Mesdames” che lo circondavano e che lui, bello e prestante com’era, non aveva certo difficoltà a conquistare.
Agli affari di Stato, nel frattempo, ci pensava il Cardinale con la sua équipe di ministri, che permise alla Francia di raggiungere in quegli anni il massimo della sua estensione territoriale, espandere l’influenza del Paese all’estero, far diventare il francese a livello internazionale quello che è l’inglese oggi, godere finalmente di una moneta stabile e di un’economia in ottima salute.
Luigi XV al governo del regno: l’attentato alla sua vita
Nessuna meraviglia dunque se negli anni ’30 del XVIII secolo la Francia passò da 22 a 24 milioni di abitanti, con un sensibile aumento della speranza di vita media ed una diffusa prosperità, di cui il popolo naturalmente ringraziava il proprio re. Tutto cambiò però alla morte del De Fleury, quando Luigi, rammollito dall’eccesivo uso dell’alcova, dovette occuparsi in prima persona del governo del Paese. I problemi non tardarono a manifestarsi, perché i suoi ministri, senza una solida guida, iniziarono ad agire come schegge impazzite, spesso in contrasto fra loro.
Non fu certo d’aiuto l’esito della Guerra di Successione austriaca, con l’opinione pubblica francese, ormai non più incline al silenzio, che non perdonò al re le generose concessioni territoriali e politiche accordate alla Prussia. Luigi non comprese affatto che in Francia stava iniziando a prendere piede il nazionalismo e così, fra un rovescio e l’altro, nel 1757 scampò ad un tentativo d’assassinio operato da un tale Damiens, poi punito con l’ultimo terribile squartamento pubblico che la Francia ricordi, cui assisté anche il nostro Giacomo Casanova di passaggio in quell’anno a Parigi.
Anche il suo lungo regno, come quello del bisnonno prima di lui, sarebbe terminato fra lutti d’ogni genere, con la perdita in rapida serie della moglie, ma soprattutto della sua più nota “maitresse”, la famosa Madame de Pompadour, oltre che di suo figlio, l’erede al trono, il tutto condito da pesanti sensi di colpa e conseguenti crisi mistiche.
La morte per vaiolo
Quando l’epidemia di vaiolo che gli aveva falcidiato la famiglia colpì anche lui, portandolo alla tomba, si preferì tenere i suoi funerali nottetempo, per evitare schiamazzi. All’immutabile grido di “Le Roi est mort! Vive le Roi!” gli successe il nipote, Luigi XVI, il cui triste destino pareva già segnato da quando la previdente Madame de Pompadour aveva predetto: “Après nous, le déluge!” (“Dopo di noi, il diluvio!”).